Accede al profilo ‘Facebook’ dell’ex compagna: legittima la condanna

L’uomo ha anche utilizzato alcuni frames tratti dall’impianto di videosorveglianza, collocato – per virtuose finalità di prevenzione dalle illecite intrusioni di terzi – in prossimità dell’abitazione condivisa in passato con la donna, per gli scopi strumentali dell’indebito ed assillante controllo della vita e della riservatezza della ex compagna

Accede al profilo ‘Facebook’ dell’ex compagna: legittima la condanna

Clona il profilo ‘Facebook’ dell’ex compagna e poi vi accede: condannato per stalking. A inchiodare l’uomo non solo le condotte moleste tenute nei confronti della donna ma anche l’avere avuto accesso alla videosorveglianza della casa da lei utilizzata e l’avere così monitorato la vita di lei.
Inequivocabili, secondo i giudici (sentenza numero 10362 del 14 marzo 2025 della Cassazione), i comportamenti dell’uomo finito sotto processo a seguito della denuncia fatta dalla donna con la quale aveva avuto una relazione.
Respinta la tesi difensiva, mirata a ridimensionare i fatti addebitati all’uomo.
Secondo il legale, non ci si trova di fronte a condotte di particolare gravità, che perciò sono catalogabili, a suo parere, come mere condotte moleste o di disturbo, non essendo stati esplicitati gli indicatori del cambiamento delle abitudini di vita della donna e non essendovi evidenza alcuna di aggressioni e violenze fisiche ai danni della persona offesa, che, peraltro, è un pubblico ufficiale.
Per i magistrati di Cassazione, però, dagli elementi probatori, ossia risultanze testimoniali e documentali e dichiarazioni della persona offesa, apprezzate come intrinsecamente attendibili e riscontrate da plurime evidenze estrinseche, si è potuto desumere il duraturo clima di persecuzione e vessazione instaurato dall’uomo in pregiudizio della ex compagna, clima rappresentato dalla costante sorveglianza ed ingerenza nella sfera più intima della persona offesa, non solo attraverso forme più consuete ovvero con una sequela di telefonate, messaggi, pedinamenti ed atti intimidatori, ma anche attraverso lo spionaggio demandato a persone di fiducia ed il ricorso alla tecnologia. Su quest’ultimo punto, in particolare, vengono richiamati alcuni importanti dettagli: l’uomo ha clonato e fatto accesso abusivo al profilo ‘Facebook’ della donna e ha utilizzato alcuni frames tratti dall’impianto di videosorveglianza, collocato – per virtuose finalità di prevenzione dalle illecite intrusioni di terzi – in prossimità dell’abitazione condivisa in passato con la donna, per gli scopi strumentali dell’indebito ed assillante controllo della vita e della riservatezza della ex compagna.
A fronte di tale quadro, i magistrati richiamano il principio secondo cui per la concretizzazione del delitto di atti persecutori – che non richiede necessariamente l’esercizio della violenza – è indispensabile ma sufficiente che la condotta sia idonea, alternativamente e non cumulativamente: a cagionare alla vittima un perdurante e grave stato di ansia e di paura; a ingenerare, nei suoi confronti, un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona ad essa da relazione affettiva; tale da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. Inoltre, secondo altro principio di diritto, la prova del grave e perdurante stato d’ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato di stalking può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dallo stalker, qualora essi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante. Di conseguenza, ai fini della configurabilità del reato di stalking, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dello stalker.
Tornando alla vicenda oggetto del processo, per i giudici la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla determinazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, è ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’ex compagno.
Impossibile accogliere la tesi difensiva, quindi, e catalogare le condotte dell’uomo come mere molestie. Ciò perché egli ha tenuto anche comportamenti oppressivi e di prorompente efficacia intromissiva nei confronti dell’ex compagna, come le interferenze nel sistema informatico e telematico, le ripetute minacce (anche di azioni giudiziarie infondate) e, in una occasione, la violazione di domicilio con il deterioramento delle persiane dell’appartamento utilizzato dalla donna.

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