Vittima di un incidente: danno morale come sofferenza interiore

Necessarie una separata valutazione ed un’autonoma liquidazione rispetto al danno biologico

Vittima di un incidente: danno morale come sofferenza interiore

In materia di danno non patrimoniale da lesione della salute, il danno morale consiste in uno stato d’animo di sofferenza interiore che prescinde del tutto dalle vicende dinamico-relazionali della vita del soggetto danneggiato e che, ove dedotto e provato, deve formare oggetto di separata valutazione ed autonoma liquidazione rispetto al danno biologico, non potendo essere ricompreso nella personalizzazione del risarcimento del danno biologico stesso.
Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 9279 dell’8 aprile 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame l’istanza risarcitoria avanzata da un uomo che, alla guida – senza casco protettivo – del proprio motociclo, è stato investito da tergo da una vettura non identificata.
Censurata la visione adottata in Appello, laddove i giudici, nel liquidare il danno non patrimoniale subito dalla vittima dell’incidente, hanno negato il riconoscimento del danno morale quale autonoma voce di pregiudizio, ritenendo che la considerazione della sofferenza interiore patita dal soggetto danneggiato potesse incidere unicamente sulla personalizzazione del risarcimento del danno biologico.
Confermata, invece, l’esclusione della risarcibilità del danno patrimoniale, a fronte di una situazione di disoccupazione volontaria, ovvero di un consapevole rifiuto dell’attività lavorativa.
In generale, il danno da perdita (o riduzione) della capacità lavorativa di un soggetto adulto che, al momento dell’infortunio, non svolgeva alcun lavoro remunerato va liquidato stabilendo se possa ritenersi che la vittima, qualora fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale. Su questo punto il soggetto danneggiato non ha fornito prove solide, essendosi limitato a sostenere che egli svolgeva il mestiere di fabbro e che non avrebbe più svolto alcuna attività lavorativa dopo il sinistro a causa delle sue precarie condizioni fisiche e dei rilevanti postumi della lunga degenza.
Per i giudici, invece, ci si trova di fronte ad un consapevole rifiuto dell’attività lavorativa da parte del soggetto danneggiato.

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