Alunna con deficit uditivo: sì all’insegnante di sostegno che non conosce la lingua dei segni

I giudici fanno chiarezza: solo la condotta dell’amministrazione che non appresti il sostegno pianificato si risolve nella contrazione del diritto del disabile alla pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico

Alunna con deficit uditivo: sì all’insegnante di sostegno che non conosce la lingua dei segni

Legittima la scelta dell’amministrazione scolastica di utilizzare come insegnante di sostegno per una allieva con deficit uditivo una docente che non conosce la lingua dei segni e di affiancarle una educatrice specializzata nell’utilizzo della lingua dei segni.
Questa la valutazione dei giudici (ordinanza numero 32431 del 12 dicembre 2025 della Cassazione), i quali, chiamati a prendere in esame il contenzioso sorto in Friuli, hanno anche fissato un importante principio, sancendo che rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione scolastica, e di essa soltanto, l’individuazione della misura più adeguata al sostegno dell’alunno disabile, da formalizzare attraverso la predisposizione del cosiddetto piano educativo individualizzato, con conseguente obbligo dell’amministrazione di garantire il diritto dell’alunno disabile all’istruzione come pianificata, diritto la cui violazione integra condotta discriminatoria indiretta.
Ad aprire il fronte giudiziario sono mamma e papà di una allieva affetta da deficit uditivo. Nello specifico, i due genitori sostengono sia stata discriminatoria la decisione, assunta dalla scuola, di assegnare alla loro figlioletta un insegnante di sostegno – non a conoscenza della lingua dei segni –per ventotto ore settimanali, con l’affiancamento, per quattordici ore settimanali, di un’educatrice specializzata in linguaggio dei segni. Di conseguenza, essi chiedono la condanna della scuola a provvedere immediatamente all’assegnazione alla figlia, per tutto l’orario scolastico, pari a trentadue ore settimanali, oppure, in via subordinata, per venticinque ore settimanali, di un insegnante di sostegno che conosca la lingua dei segni, ovvero, se ciò non fosse stato possibile, di un interprete della lingua dei segni in affiancamento alla docente di sostegno già individuata, così da consentire il soddisfacimento dei diritti all’educazione e all’istruzione della figlia. Inoltre, essi chiedono l’adozione di un piano per la rimozione delle discriminazioni accertate e di assegnare alla figlia, per gli anni scolastici a venire e fino all’espletamento dell’obbligo scolastico, un insegnante di sostegno a conoscenza della lingua dei segni ovvero, se ciò non fosse possibile, un interprete della lingua dei segni in affiancamento al docente di sostegno già individuato, così da consentire alla figlia di fruire di fatto del diritto all’educazione e all’istruzione per tutto l’orario scolastico, oppure per il numero massimo di ore settimanali di sostegno previste dalla legge.
In aggiunta, poi, i due genitori chiedono anche un adeguato risarcimento, a fronte della discriminazione subita dalla figlia.
Per i giudici di merito, nonostante le obiezioni proposte dall’istituto scolastico, è evidente la condotta discriminatoria subita dalla giovanissima allieva, come lamentato dai suoi genitori, i quali si vedono riconosciuto un risarcimento quantificato in 5mila euro.
Col ricorso in Cassazione, però, Ministero dell’Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale e istituto scolastico obiettano che il piano educativo individualizzato (cosiddetto ‘PEI’), previsto per la scolara, non contemplava affatto l’utilizzo esclusivo della lingua dei segni e che la docente di sostegno – il cui operato, peraltro, è stato apprezzato dalla famiglia – era stata individuata mediante legittimo scorrimento delle graduatorie. Illegittima, quindi, secondo le tre amministrazioni, la pretesa risarcitoria avanzata dai genitori della scolara: ciò a fronte della impossibilità di riscontrare alcun tipo di discriminazione (né diretta, né indiretta) da parte dell’amministrazione scolastica, considerato anche che ognuno degli obiettivi del ‘PEI’ era stato conseguito dall’allieva.
Ampliando il discorso, poi, le tre amministrazioni ricordano che, in generale, il piano educativo individualizzato obbliga l’amministrazione scolastica a garantire il supporto per il numero di ore programmato, senza lasciarle il potere discrezionale di ridurne l’entità in ragione delle risorse disponibili. E in questa vicenda, peraltro, oggetto di contestazione non è tanto il contenuto del ‘PEI’ ma l’applicazione delle disposizioni contenute in esso, ed in particolare la esatta individuazione di un docente competente per la formazione e l’assistenza dell’alunna.
Ciò detto, è una forzatura, secondo le tre amministrazioni, la valutazione compiuta in Appello, valutazione secondo cui, da un lato, non costituisce una giustificazione il fatto che l’amministrazione scolastica sia stata costretta o meno a procedere alla chiamata a mezzo di selezione di graduatoria, giacché legge numero 104 del 1992 precisa che, in caso di portatori di handicap grave, ci deve essere priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici, e, dall’altro, la procedura di chiamata degli insegnanti e l’obbligo di seguire la graduatoria non esonerano l’amministrazione scolastica da responsabilità, dal momento che, se con le chiamate dalla graduatoria non si reperiscono nell’elenco insegnanti di sostegno specializzati e idonei, all’insegnante si deve affiancare un interprete della lingua dei segni.
Così, però, obiettano le tre amministrazioni, i giudici d’Appello hanno inteso sostituirsi all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione scolastica, che ha espressamente individuato le risorse professionali attuative del ‘PEI’ nel docente di sostegno, nei docenti titolari della classe e nell’educatrice del territorio. Infatti, il ‘PEI’ in esame assegna la funzione di rinforzo comunicativo dell’allieva mediante la lingua dei segni all’educatrice del territorio, prestazione pacificamente somministrata, e dunque senza necessità né obbligo di prevedere l’inserimento di una non meglio precisata ulteriore figura di interprete, anche tenuto conto che l’utilizzo della lingua dei segni non è mai stato configurato come mezzo esclusivo di comunicazione con l’allieva.
Per i magistrati di Cassazione le obiezioni sollevate da Ministero dell’Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale e istituto scolastico hanno un solido fondamento. Soprattutto perché nel confermare l’ordine di assegnare all’alunna un insegnante di sostegno che conosca la lingua dei segni, ovvero un interprete della lingua dei segni in affiancamento al docente di sostegno, i giudici d’Appello si sono, effettivamente, sostituiti all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione scolastica, avendo quest’ultima espressamente individuato le risorse professionali attuative del ‘PEI’ nel docente di sostegno, nei docenti titolari della classe e nell’educatrice del territorio.
Entrando nei dettagli della vicenda, si è appurato che il ‘PEI’ predisposto dalla scuola assegna la funzione di rinforzo comunicativo dell’allieva mediante la lingua dei segni all’educatrice del territorio, facendo, pertanto, ricorso ad una diversa figura professionale rispetto all’insegnante di sostegno, non specificamente prescritta nel ‘PEI’.
Sotto questo aspetto, ovvero in relazione al fatto che il ‘PEI’ predisposto per l’alunna si limitava solo ad incentivare la lingua dei segni (peraltro, unitamente alla cosiddetta comunicazione aumentativa alternativa), senza però prevedere specifiche misure diverse dall’assegnazione di una educatrice, è legittima la posizione della scuola, secondo i magistrati di Cassazione. Soprattutto perché fa capo all’amministrazione scolastica, e ad essa soltanto, il potere discrezionale, espressione dell’autonomia organizzativa e didattica, di individuazione della misura più adeguata al sostegno, e ciò mediante formalizzazione del ‘piano educativo individualizzato’. Una volta avvenuta tale formalizzazione, si determina il sorgere dell’obbligo dell’amministrazione di garantire il supporto per il numero di ore programmato ed il correlato diritto dell’alunno disabile all’istruzione come pianificata, nella sua concreta articolazione, in relazione alle specifiche necessità dell’alunno stesso. Pertanto, solo la condotta dell’amministrazione che non appresti il sostegno pianificato si risolve nella contrazione del diritto del disabile alla pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico, che, ove non accompagnata dalla corrispondente riduzione dell’offerta formativa per gli alunni normo-dotati, concretizza discriminazione indiretta.
Necessario, quindi, rivalutare la condotta tenuta dalla scuola. Su questo fronte la palla viene ripassata ai giudici d’Appello, i quali, però, dovranno tenere conto del principio fissato dai magistrati di Cassazione.

news più recenti

Mostra di più...