Colpevole di furto in abitazione il ladro che fa ‘visita’ alla casa di un uomo defunto
Per i giudici non ci sono dubbi: nella nozione di privata dimora rientra anche l’abitazione della persona deceduta, la cui morte non determina ex se la cessazione di atti della vita privata all’interno della stessa casa

Blitz del ladro nella casa di un uomo defunto: legittimo, comunque, parlare di furto in abitazione. Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza numero 11759 del 25 marzo 2025 della Cassazione), i quali precisano che nella nozione di privata dimora rientra anche l’abitazione della persona deceduta, la cui morte non determina ex se la cessazione di atti della vita privata all’interno della stessa casa.
Riflettori puntati, nel caso specifico, sull’azione criminosa compiuta da un giovane che non ha ancora raggiunto i 18 anni. Per il Gip prima e per il Tribunale poi è sacrosanto disporre il collocamento del ragazzo in comunità.
Per la difesa, però, è evidente l’errore compiuto nella valutazione dell’episodio. Secondo il legale, difatti, è illogico parlare di furto in abitazione, trovandosi di fronte, invece, ad un furto semplice, poiché l’immobile, quando il fatto è avvenuto, era disabitato, in quanto l’assegnatario era deceduto.
Chiara l’ottica difensiva: il giovane ha effettuato il blitz in un luogo in cui non potevano svolgersi atti della vita privata. Altrettanto chiaro l’obiettivo del legale: vedere riqualificato il fatto in furto semplice può consentire la valutazione, stante la giovane età del ragazzo e il suo stato di incensuratezza, di una sospensione condizionale della pena.
Per i magistrati, però, bisogna tenere presenti alcuni punti fermi in materia di furto in abitazione, ricordando che rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a soggetti terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale. In questa ottica va tenuta presente anche la posizione assunta dalla Corte Costituzionale, che ha posto in rilievo, nel ricostruire la nozione di domicilio, che la relativa libertà ha una valenza essenzialmente negativa, concretandosi nel diritto di preservare da interferenze esterne, pubbliche o private, determinati luoghi in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo.
Ampliando l’orizzonte, poi, i magistrati precisano che integra la nozione di privata dimora l’immobile che, seppure non abitato, debba ritenersi non abbandonato.
Per quanto concerne il responsabile del furto, per il dolo è sufficiente che il soggetto si rappresenti il luogo in cui si introduce come privata dimora, ossia come luogo idoneo a consentire lo svolgimento di attività inerenti alla sfera privata di determinate persone, e ciò indipendentemente dalla presenza fisica delle persone stesse all’interno dell’immobile e dalla consapevolezza di detta presenza.
In questo quadro si inserisce la questione sollevata dalla difesa, questione effettivamente suggestiva poiché, osservano i magistrati, si potrebbe essere indotti, a prima vista, a ritenere che un immobile in cui viveva una persona ormai deceduta sia un luogo definitivamente abbandonato, in cui, dunque, non possano, per definizione, svolgersi atti della vita privata e, pertanto, non suscettibile di essere ritenuto ‘privata dimora’ per la configurabilità del delitto di furto in abitazione. Però, così opinando si finirebbe con il trascurare di considerare, abbracciando una concezione soggettiva e formale della nozione di privata dimora, che la morte della persona che abita nell’immobile non determina ex se la cessazione di atti della vita privata nella sua abitazione, atteso che in essa – salvo, ad esempio, che si tratti di decesso molto risalente nel tempo, dopo il quale nessuno è più entrato nella casa e che, pertanto, questa possa ritenersi definitivamente abbandonata – ben possono continuare ad essere compiuti atti della vita privata da parte di altre persone, quali, ad esempio, eredi, prossimi congiunti e persone legate da rapporti affettivi e di amicizia con il defunto, anche perché ciò che rileva è la funzionalizzazione oggettiva del bene allo svolgimento di atti della vita privata.
Tirando le somme, i magistrati di Cassazione fanno chiarezza con un principio ad hoc: in tema di furto, nella nozione di privata dimora rientra anche l’abitazione della persona deceduta, la cui morte non determina ex se la cessazione di atti della vita privata all’interno della stessa casa, in quanto, anche dopo tale momento, possono accedervi altri soggetti, quali, ad esempio, eredi, prossimi congiunti e persone legate a lui da rapporti affettivi ed amicali, e svolgervi atti della vita privata.