Informazione antimafia: non basta il riferimento ad un rapporto di parentela
Fondamentale l’assenza di elementi in ordine alla concreta possibilità che il soggetto criminale, da tempo non più convivente con la persona destinataria dell’informativa, ne possa influenzare le scelte imprenditoriali

Illegittima l’informazione antimafia adottata in ragione del rapporto di parentela della titolare di una società con un soggetto imputato in un procedimento penale di associazione per delinquere di stampo mafioso. Ciò, però, a patto che non vengano forniti elementi in ordine alla concreta possibilità che detto soggetto, da tempo non più convivente con la persona destinataria dell’informativa, ne possa influenzare le scelte imprenditoriali.
Questi i paletti fissati dai giudici (sentenza numero 478 del 10 giugno 2025 del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana), chiamati a prendere in esame le obiezioni sollevate da un’imprenditrice a fronte di un provvedimento adottato dalla Prefettura per presunte infiltrazioni mafiose nella società da lei gestita.
Per maggiore chiarezza, i giudici aggiungono che l’informazione antimafia adottata in ragione di una condanna per il reato di bancarotta semplice, così derubricato rispetto alla contestazione di bancarotta fraudolenta, è illegittima sia in ragione di detta derubricazione sia in ragione del rilievo che la cosiddetta ‘riforma Cartabia’ ha limitato l’efficacia extrapenale della sentenza di patteggiamento. Tale cambio di rotta incide necessariamente anche sulle disposizioni contenute nel cosiddetto ‘Codice antimafia’, disposizioni che disciplinano la documentazione antimafia e che costantemente considerate quali norme diverse da quelle penali perché regolano istituti di natura esclusivamente preventiva e non punitiva, per cui persino in riferimento a uno dei reati ritenuti ostativi la sentenza di patteggiamento non può (più) ritenersi equiparata alla sentenza di condanna.
Tornando alla specifica vicenda, i giudici osservano che il provvedimento del Prefetto ha assegnato particolare, e primario, valore indiziante al fatto che l’amministratrice unica della società è figlia di un uomo imputato, insieme al fratello, in un procedimento penale per associazione di stampo mafioso e per riciclaggio. Ciò però non può bastare, poiché viene solo indicato il rapporto di parentela ritenuto ‘sconsigliato’, senza offrire indicazioni fattuali che possano far ritenere sussistente un’adeguata concreta ingerenza del padre nell’attività imprenditoriale in atto svolta dalla figlia, la quale, peraltro, ha insistito molto nel rimarcare la propria autonomia nella gestione della società, che opera, effettivamente, in un settore imprenditoriale differente rispetto a quello del padre.