Necessario provare che il credito abbia avuto origine in epoca precedente alla sentenza di fallimento

In generale, il giudizio di verificazione dello stato passivo fallimentare non ha solo lo scopo di accertare se il diritto di credito esiste e per quale ammontare, ma, più estensivamente, di verificare se ed in che misura il creditore del fallito possa far valere tale diritto nei confronti degli altri creditori

Necessario provare che il credito abbia avuto origine in epoca precedente alla sentenza di fallimento

Chiarimenti importanti in materia di onere probatorio dell’anteriorità del credito nel giudizio di verificazione dello stato passivo fallimentare. Su questo fronte, difatti, i giudici (ordinanza numero 17437 del 28 giugno 2025 della Cassazione), precisano che, nel giudizio di verificazione dello stato passivo fallimentare, il creditore che chiede l’ammissione al passivo ha l’onere di provare non solo l’esistenza del credito nei confronti del debitore poi fallito ma anche che tale credito deriva da un fatto, atto o contratto verificatosi prima della sentenza dichiarativa di fallimento, e tale onere può essere soddisfatto producendo documentazione dotata di data certa anteriore all’apertura del concorso e opponibile ai creditori concorsuali.
L’anteriorità del credito costituisce elemento costitutivo del diritto vantato dal creditore e deve essere sempre accertata dal giudice delegato o dal tribunale fallimentare.
In ballo, nella vicenda in esame, una cifra pari a quasi 1.400.000 euro quale credito per il corrispettivo dovuto in ragione delle forniture eseguite in favore di una società poi fallita.
In prima battuta, il giudice delegato ha rigettato la domanda di ammissione al passivo e lo ha fatto sul rilievo che, in assenza di un contratto avente data certa, non è possibile determinare l’importo dovuto per la prestazione e che, pertanto, il creditore non ha assolto l’onere, su di esso gravante, di fornire prova dell’esatto ammontare del credito, non essendo sufficienti le fatture, note di credito e documenti di traporti, documenti, peraltro, anch’essi privi di data certa.
In seconda battuta, anche il Tribunale rigetta l’opposizione allo stato passivo, osservando che, in generale, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l’opponente è tenuto ad allegare e provare la fonte negoziale o legale del suo diritto di credito e ad allegare l’inadempimento del debitore poi fallito, dimostrando non solo l’esistenza del credito, ma anche l’anteriorità dello stesso rispetto alla dichiarazione di fallimento, mentre grava sulla curatela opposta l’onere di dimostrare l’esistenza di fatti modificativi, impeditivi o estintivi dell’obbligazione, e rilevando, poi, nella specifica vicenda, che non è emersa in giudizio la prova dell’anteriorità non solo dell’eventuale contratto intercorso tra le parti, ma anche dell’espletamento dell’attività in favore della società fallita e, quindi, del sorgere del credito, rispetto alla dichiarazione di fallimento. Su questo punto, in particolare, i giudici osservano che l’opponente ha prodotto nella fase innanzi al giudice delegato solo atti di provenienza unilaterale (come fatture, note di credito, estratto conto, lettera di intimazione di pagamento) che, in presenza di una puntuale contestazione del curatore, come avvenuto nella specie, non possono ex se assurgere a prova del diritto di credito vantato dall’opponente medesimo, potendo al più costituire un mero indizio. E anche le scritture contabili, pure a voler ritenere che abbiano valore presuntivo dell’esistenza del credito, non valgono comunque a conferire, secondo i giudici, data certa anteriore al fallimento né alle fatture, né ai documenti di trasporto, dei quali sono indicati i numeri identificatici.
Per il Tribunale, quindi, il credito non è opponibile al fallimento. E su questa stessa linea si assesta anche la Cassazione, poiché le prove raccolte non sono idonee a dimostrare che i fatti costitutivi dedotti a fondamento della domanda, e cioè le forniture asseritamente eseguite in favore della società poi fallita, al fine di ottenere l’ammissione al passivo del credito (al pagamento del relativo prezzo), si sono senz’altro verificati in data anteriore rispetto alla dichiarazione di fallimento della debitrice.
In generale, comunque,
il giudizio di verificazione dello stato passivo fallimentare non ha solo lo scopo di accertare se il diritto di credito esiste e per quale ammontare, come accade nel giudizio ordinario (ad esempio, condanna del debitore inadempiente), ma, più estensivamente, di verificare se ed in che misura il creditore del fallito possa far valere tale diritto nei confronti degli altri creditori e, per l’effetto, partecipare, in concorso con essi, alla ripartizione del ricavato della liquidazione dei beni acquisisti alla massa. Ne consegue, in pratica, che colui che presenta la domanda di ammissione al passivo, oltre a dover dimostrare l’esistenza del credito nei confronti del debitore poi fallito, ha anche l’onere di provare che tale credito deriva da un fatto, un atto o un contratto che, essendosi verificato prima sentenza dichiarativa del fallimento, abbia prodotto effetti giuridici opponibili ai creditori concorsuali.
L’anteriorità del credito assume, dunque, i connotati di un elemento costitutivo del diritto vantato dal creditore e dev’essere, come tale, sempre accertato, al pari di tutti (gli altri) fatti costitutivi, dal giudice delegato ovvero dal tribunale fallimentare in sede d’impugnazione dello stato passivo.
Ragionando in questa ottica, è vero che, quando il documento privo di data certa sia finalizzato a provare un contratto per il quale la forma scritta non è richiesta ad substantiam o ad probationem, la mancanza di data certa nella scrittura privata prodotta in giudizio per la relativa dimostrazione non esclude che la prova della stipulazione del contratto (prima del fallimento) e del suo contenuto possa essere acquisita aliunde, vale a dire indipendentemente dalla prova della certezza della data sulla scrittura, e cioè, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, anche con testimoni e, più in generale, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso. È anche vero, tuttavia, che il giudice, ai fini della decisione circa l’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non di data certa, quando voglia darsi la prova del momento in cui il contratto è stato concluso, ha il compito di valutarne, caso per caso, la sussistenza e l’idoneità a stabilire la certezza della data del documento, con il limite del carattere obiettivo del fatto, che non deve essere riconducibile (come l’emissione delle fatture o la ricezione dei pagamenti) alla stessa parte che lo invoca e deve essere, altresì, sottratto alla sua disponibilità.
La prova della certezza della data della scrittura privata, ai fini della sua opponibilità ai terzi, richiede, in effetti, che, ove manchino le situazioni tipiche di certezza contemplate dal Codice Civile, sia dedotto e dimostrato in giudizio un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento, con la conseguenza che tale dimostrazione può anche avvalersi di prove per testimoni o presunzioni, ma solo a condizione che esse evidenzino un fatto munito dell’indicata attitudine, non anche quando tali prove siano, in sostanza, rivolte a provocare, in via indiziaria e induttiva, un giudizio di mera verosimiglianza della data apposta sul documento. Del resto, se è vero che, in sede di accertamento dello stato passivo, ai fini dell’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non avente data certa, mediante la quale voglia darsi la prova del momento in cui il contratto è stato concluso, il creditore può dimostrare la certezza della data attraverso fatti, quali che siano, equipollenti a quelli previsti dal Codice Civile, ivi compresa la documentazione proveniente dalla società in bonis, sempre che si tratti di documentazione idonea a tale scopo, resta, nondimeno, il fatto che, con riguardo specifico ai libri contabili tenuti dal creditore, la mera iscrizione negli stessi non integra uno dei fatti previsti per stabilire con certezza l’anteriorità della formazione del documento: l’annotazione nei libri regolarmente tenuti e vidimati può nei singoli casi essere idonea a fornire la prova della detta anteriorità, che discende non dalla mera annotazione in tali libri ma dalla vidimazione del pubblico ufficiale anteriore alla dichiarazione di fallimento, e dalla sua attestazione circa la tenuta dei libri a norma di legge, ossia da un fatto estrinseco all’annotazione, autonomamente idoneo a provare l’anteriorità dell’annotazione medesima alla data di chiusura dei registri e quindi alla data di apertura della procedura concorsuale.

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