Assegno divorzile all’ex moglie anche se non ha dovuto compiere sacrifici in ambito lavorativo
Confermato il diritto di una donna a percepire un corposo assegno dall’ex marito. Decisivo il riferimento alla disparità economico-patrimoniale tra lui e lei

Pure in assenza di specifiche rinunce professionali, il coniuge può ottenere l’assegno divorzile (con funzione perequativo-compensativa) a fronte dell’accertamento di uno squilibrio economico-patrimoniale con l’altro coniuge e dell’accertamento che tale squilibrio abbia avuto origine nelle scelte condivise compiute durante il matrimonio, ad esempio per l’organizzazione della vita familiare concordata sin dall’inizio del rapporto matrimoniale e mantenuta per l’intera durata del vincolo coniugale.
Questo il principio di diritto applicato dai giudici (ordinanza numero 16917 del 24 giugno 2025 della Cassazione), i quali hanno perciò, a chiusura del contenzioso tra due ex coniugi, riconosciuto il diritto della donna a percepire ogni mese un assegno divorzile pari a 2mila e 500 euro.
Decisivo, innanzitutto, il raffronto tra le rispettive risorse economiche e patrimoniali dei due ex coniugi. Rilevante, poi, la valutazione del contributo fornito dalla donna alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune.
Evidente, in primo luogo, la solida posizione economica dell’uomo che può vantare oltre 7mila euro al mese tra pensione, lavoro dipendente e reddito da partecipazione ad un’associazione professionale, con l’aggiunta poi di diritti di usufrutto su due immobili, della proprietà di due immobili (uno dei quali concesso in locazione) e, infine, della disponibilità monetaria di circa 200mila euro. Dall’altro lato, invece, la donna vanta la titolarità del reddito da pensione (pari a 1.700 euro mensili) quale ex dipendente di un Comune e di rendite (pari a circa 1.400 euro mensili complessivi) da locazioni di immobili, la proprietà dell’immobile adibito a propria abitazione e di ulteriori due immobili (uno dei quali al 50 per cento), e, infine, la disponibilità monetaria di circa 400mila euro.
Per i giudici, quindi, pur non essendoci prova di rinunce professionali specifiche della donna (la quale ha lavorato fino alla pensione come dipendente comunale) in funzione della famiglia, è largamente presumibile, dalla lunga durata del rapporto matrimoniale (quasi quarant’anni), dal regime patrimoniale di comunione legale dei beni scelto dai coniugi, dalla condizione di benessere economico goduto dal nucleo familiare in forza delle rispettive e comuni situazioni patrimoniali e dal maggiore apporto e capacità di reddito garantito dalla libera professione dell’uomo., che i coniugi, nell’organizzazione della vita familiare comune, non avessero per nulla avvertito la necessità di impegnare la donna in progressioni di carriera o in esperienze professionali maggiormente remunerative.
Di conseguenza, la disparità economico-patrimoniale tra uomo e donna è valutabile come conseguente alla definizione dei ruoli della coppia coniugata, ruoli portati avanti per scelte da ritenersi condivise per circa quarant’anni, periodo durante il quale i coniugi hanno concorso, proporzionatamente alle rispettive risorse, alla realizzazione del patrimonio personale e comune, alla crescita e realizzazione professionale dei figli;.
Tirando le somme, l’attribuzione dell’assegno divorzile alla donna è giustificata e la misura della prestazione – ridotta, peraltro, rispetto al pregresso assegno convenuto in separazione – è congrua, non dovendo assicurare, come l’assegno di mantenimento, la conservazione del tenore di vita endoconiugale.